>>> Visto il periodo di ferie, i tempi di risposta dei consulti potrebbero essere più lunghi del dovuto.
Richiedi il buono sconto da 20 € per il tuo consulto online.
>>> Visto il periodo di ferie, i tempi di risposta dei consulti potrebbero essere più lunghi del dovuto.
Il tumore delle vie biliari ha un’incidenza relativamente rara e una prognosi severa. Poche sono le opzioni di trattamento: ad oggi lo standard di cura è la chemioterapia con cisplatino e gemcitabina. Recentemente ampi sforzi di sequenziamento genico hanno dimostrato che oltre il 50% dei pazienti con colangiocarcinoma ha almeno una mutazione bersagli.
Ciò potrebbe fornire ulteriori opzioni di trattamento personalizzate, incluso l’accesso a studi clinici che possano potenzialmente dare a questi pazienti un beneficio duraturo dalle cure mantenendo una buona qualità di vita.
Tra le mutazioni rilevate:
– Mutazioni IDH1
– Fusioni e mutazioni FGFR
– Amplificazione e mutazioni HER2
– Mutazioni BRAF
– Mutazioni PIK3CA
– NTRK
– Instabilità dei microsatelliti
In particolare, al recente Congresso della European Society for Medical Oncology (ESMO 2019), sono stati presentati i positivi risultati dello studio clinico di Fase II FIGHT-202, che ha valutato la sicurezza e l’efficacia del farmaco pemigatinib – un inibitore selettivo del recettore del fattore di crescita dei fibroblasti (FGFR, fibroblast growth factor receptor) – come terapia per i pazienti affetti da colangiocarcinoma in stadio localmente avanzato o metastatico già trattati in precedenza.
Fusioni o riarrangiamenti del gene FGFR2 si verificano quasi esclusivamente nel colangiocarcinoma intraepatico nel 10-16% dei pazienti. I dati aggiornati presentati al Congresso ESMO dimostrano che pemigatinib in monoterapia ha determinato un tasso di risposta globale del 36%; 3 pazienti hanno ottenuto una risposta completa e 35 pazienti una risposta parziale. In questi pazienti, il tasso di controllo della malattia è stato dell’82%, la durata mediana della risposta è stata di 7,5 mesi e la sopravvivenza mediana libera da progressione è stata di 6,9 mesi. I dati preliminari sulla sopravvivenza globale sono stati incoraggianti (mediana: 21,1 mesi) e non sono ancora maturi.
L’analisi di sicurezza ha dimostrato che pemigatinib è stato generalmente ben tollerato. L’iperfosfatemia di grado lieve-moderato (G1-G2) è l’evento avverso correlato al trattamento (TEAE) più comune (60%) ed è stato gestito con una dieta a basso contenuto di fosfati, leganti dei fosfati e diuretici o con una riduzione della dose fino a sospensione del trattamento. Il TEAE di grado ≥3 più comune è stato l’ipofosfatemia (12%); nessuno dei casi è stato considerato clinicamente significativo o grave, e nessuno ha determinato una riduzione della dose o la sospensione del trattamento. Nel 4% dei pazienti è stato osservato distacco di retina secondario (grado ≥3: 1%), senza che alcuno dei casi comportasse sequele cliniche.
È già stata inoltrata richiesta di registrazione alla FDA (Food and Drug Administration).
Questo a dimostrazione che dinanzi a dati clinici così importanti, specie per queste patologie rare, non è pensabile attendere altri anni di studi clinici registrativi prima di poter utilizzare questo farmaco. Andrebbe cioè forse rivista la procedura registrativa di farmaci a bersaglio molecolare per rendere più velocemente accessibile un farmaco, di sicura utilità e interesse, in questa patologia orfana di opzioni terapeutiche.
Blog di informazioni mediche a carattere divulgativo redatto da medici Ultraspecialisti.
ULTRASPECIALISTI S.R.L. PMI Innovativa | Cod.Fisc / P.Iva: 09364300963 | Via Ampére 61/A, 20131, Milano | Capitale sociale 10.500 euro i.v.