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Il blog di Ultraspecialisti è nato con l’idea di dare voce a medici specialisti, esperti di specifiche aree terapeutiche, per approfondire argomenti attinenti alla loro specializzazione, ai casi che trattano e agli studi relativi a specifiche problematiche che emergono dalla loro attività quotidiana nei contesti clinici. In questo momento, però, mi sento di prendere la parola e di sfruttare questo spazio. I tempi sono ormai maturi per fare riflessioni importanti sul ruolo che la telemedicina in Italia (e non solo) sta assumendo nella nostra realtà quotidiana in questi giorni, con la consapevolezza che questa (la telemedicina appunto) non ha mai avuto, almeno fino a prima dell’emergenza Covid-19, una vera e propria identità e, soprattutto, una reale connessione con tutta la filiera del Sistema Sanitario Nazionale, pubblico o privato.
Una premessa doverosa: oggi, nel 2020, non c’è niente di nuovo quando si parla di telemedicina. Essa è a tutti gli effetti una branca della Medicina, e si è sviluppata in Italia anche grazie a iniziative private, come quella di Ultraspecialisti, già da anni, ma ha stentato a decollare. Sia per diffidenza (barriere culturali) sia per la poca convinzione di quanti, nel mondo degli investitori poteva dare un’accelerata scommettendo seriamente e cominciando a fare sperimentazione ma non ha mai preso seriamente in considerazione questo strumento. Non è mai stato avviato un percorso in tempi di pace, ovvero prima dell’emergenza Covid-19, che ci potesse permettere oggi di avere la telemedicina a portata di mano, basata su processi appropriati e validati, pronta per essere utilizzata per affrontare questa drammatica epidemia in maniera più consona ed efficace.
Cosa sta succedendo oggi? Per cause di forza maggiore, prima di tutto dettate dalla inevitabile quarantena imposta, ma anche dai pericoli legati al recarsi nelle strutture ospedaliere (l’ospedale nell’epoca del coronavirus è diventato uno dei possibili focolai di trasmissione e ha mutato forma rispetto alla sua visione storica tradizionale di ambiente che accoglie chi ha bisogno di cure), il paziente si trova in una situazione di estremo rischio. E questo vale anche per il personale medico-sanitario, un vero e proprio corpo militare al fronte, che deve necessariamente fornire assistenza e spesso è costretto a farlo in condizioni di maggior rischio per entrambe le parti.
In uno scenario di evidente emergenza, per comprendere appieno il ruolo della telemedicina è di aiuto suddividere i pazienti in due categorie:
Quelli che hanno bisogno di cure in virtù dell’infezione da coronavirus;
Quelli che sono ammalati perché colpiti da altre patologie. Questi hanno – o avrebbero – bisogno di assistenza sanitaria e di consultare il medico curante o altri specialisti, ma da una parte sono in grave difficoltà a causa della quarantena, dall’altra per il mutamento dell’ambiente ospedaliero di cui ho parlato poco fa.
Si crea, come è chiaro, un cortocircuito in tutto il sistema. E a cosa stanno pensando gli esperti per ovviare a questa situazione? In questo momento si sta correndo al riparo, come spesso succede, utilizzando qualcosa che poteva essere da tempo già operativo e integrato: tutto l’ecosistema della telemedicina. Ora più che mai, tutti gli attori – dai pazienti ai medici, fino a coloro i quali gestiscono le strutture sanitarie – stanno guardando alla telemedicina come scialuppa di salvataggio, come ultima spiaggia per non far collassare il sistema. Da un lato è sicuramente un bene, ma dall’altro questa situazione impone delle riflessioni.
Stiamo in questi giorni assistendo a un fenomeno piuttosto peculiare, che non ho potuto non notare. Molti degli enti pubblici stanno lanciando bandi per favorire la selezione di soluzioni di telemedicina. Si stanno tagliando i tempi, si sta allentando la morsa della burocrazia e, purtroppo, si sta trascurando anche l’aspetto della privacy, che viene sacrificata in alcuni casi in nome dell’emergenza. Credo non sia un modus operandi corretto, ma mi sento di dire che è l’inevitabile conseguenza di una non-programmazione. Si sta andando alla ricerca di soluzioni last minute che spesso non vengono collaudate, mettendo in contraddizione questo con dei parametri di GDPR che erano stati già resi obbligatori. Di fronte a una così grande emergenza trovo piuttosto normale che il tema del trattamento dei dati vada in secondo piano, ma ciò rinforza la mia convinzione che questo non sia il miglior modo per introdurre determinati processi innovativi. Un prezzo da pagare di tipo legislativo del quale sarà difficile tenere conto quando l’emergenza sarà superata.
Un ulteriore tema che mi sento di evidenziare è quello della validazione. Ci sono iniziative, come la nostra, che hanno appunto validato i processi, che hanno messo la tecnologia al servizio di questi processi virtuosi, i quali si pongono come fonte di risparmio per l’ecosistema in generale. È la conseguenza della de-materializzazione del percorso, attraverso la quale si tutela anche l’outcome (il percorso diagnostico-terapeutico migliore possibile per una persona, che anche a distanza riesce assolutamente ad avere dei benefici). Sfruttando la telemedicina, i risparmi sono quindi tanto per la persona, non obbligata a spostarsi, quanto per le stesse strutture del sistema, che ne beneficiano riuscendo a erogare le giuste cure o a monitorare le situazioni che si hanno in carico, snellendo tutti i passaggi e di fatto ottenendo un risparmio su budget e bilanci che è assolutamente misurabile. L’emergenza lo sta dimostrando: lì dove sembrava non potesse mai realizzarsi questo slancio verso la telemedicina in modo concreto e sistematico, oggi si può toccare con mano che i risultati sono di altissimo livello. E, aggiungo, la situazione in cui ci troviamo non permette neppure di apprezzare tutto il reale potenziale della telemedicina. Gli addetti ai lavori, a cominciare dagli stessi medici, oggi stanno capendo che avere strumenti collaudati e costruiti ad hoc per poter assistere al meglio da remoto i pazienti risolvono criticità che fino a ieri andavano gestite.
La telemedicina è quindi efficace, ma bisognava accorgersene prima. Nella catena del sistema sanitario, l’applicazione degli strumenti di telemedicina va dal primo medico, il medico di medicina generale (o addirittura dal farmacista), fino allo specialista, all’ultra-specialista e alla struttura in sé, che possono dare supporto ancora più mirato ai pazienti e spesso risolvere situazioni complesse. Se ogni attore viene inserito nel modo corretto in un sistema di cui la telemedicina è di supporto, ne può trarre grandi benefici. A maggior ragione oggi che si parla di medicina del territorio: dopo anni di tagli alla sanità, che rappresenta sempre la prima voce tra i i costi, a livello regionale, oggi si torna a parlare di “voler dare più servizi al territorio”. E questo lo si può fare soprattutto sfruttando gli strumenti di telemedicina, che hanno costi irrisori rispetto a quelli necessari per la costruzione (o la riapertura) di strutture fisiche come gli ospedali.
Per concludere, quindi, mi sento di dire che la telemedicina ha implicazioni positive sia per il cittadino, facilitato nell’interazione con il medico di medicina generale, con lo specialista o con l’ultra-specialista, sia per le stesse strutture sanitarie. Ultraspecialisti, in questa sta già collaborando con alcuni ospedali sul territorio nazionale, nel ruolo di intermediario tra cittadino e struttura. Ci può poi essere, infine, un’ultima opportunità da sfruttare: quella della telemedicina come strumento di comunicazione tra gli ospedali di periferia e i grandi centri, allo scopo di favorire il dialogo tra le parti senza la necessità di spostare i paziente. Queste, dunque, sono le risultanti delle applicazioni che, oggi più che mai, stanno tornando in auge. E lo stanno facendo con una consapevolezza diversa, dopo un periodo in cui la diffidenza culturale e la non-propensione a innovare di tanti ha frenato lo slancio innovativo in telemedicina.
Blog di informazioni mediche a carattere divulgativo redatto da medici Ultraspecialisti.
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